Lastanzadigreta, note e parole ai confini del sogno

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Raccontano, di sé, di essersi incontrati quasi per caso, sull’onda dello slancio solidale che portò a mettere in musica il piccolo universo che, nel web, aveva fatto da contrappunto alla storia di Greta: una giovane e bellissima ragazza finita in coma di seguito ad uno dei tanti, ormai tragicamente consueti, incidenti del sabato sera. La vicenda aveva ispirato decine di bloggers, i quali, intorno al suo improvviso silenzio, avevano preso ad intessere una fitta trama di pensieri, racconti, poesie, raccolti in un libro e divenuti poi il cuore dell’omonimo spettacolo. I versi scaturiti dalla storia di Greta, ora in stato di “minima coscienza”, si trasformarono così nel filo in cui inanellare, come perle di una collana, i brani musicali composti ad hoc.
Recentemente le strade che la band musicale e il progetto editoriale e di volontariato avevano finora percorso insieme, si sono separate, per una di quelle crisi di crescita non inevitabili, ma molto frequenti nelle vicende di questo tipo. I Gretaelanuvola tuttoattaccato sono artisti a tutto tondo, in piena evoluzione creativa e con un preciso progetto musicale in testa, non li puoi confinare in esclusiva nel porticciolo natìo, pena il vederli, prima o poi, mollare gli ormeggi per sempre.
E pensare che al primo incontro con i Gretaelanuvola, avvenuto anch’esso quasi per caso, confesso che mi aspettavo il solito gruppo di ragazzotti volenterosi e con un po’ di sana ambizione. Ne rimasi folgorato. Seppi soltanto dopo della solida preparazione musicale che ognuno di loro aveva alle spalle, alcuni diplomati al Conservatorio, tutti provvisti della giusta dose di creatività, oltre che di un discreto pantheon di maestri da cui attingere stili differenti, ma convergenti in un mix assai originale. Io non sono un critico musicale, ma ascoltandoli, così come ancora loro dicono di sé, davvero mi sembra di essere sfiorato dalle magiche atmosfere di Tom Waits e Nick Cave, di Gian Maria Testa e di quel Fabrizio che viaggiava prevalentemente in direzione ostinata e contraria.
Ora, all’alba del 2011 e a partire da Viol@ St. Gree (Cn), rilanciano, portando in giro lo spettacolo originario: della dozzina di brani che compongono l’affresco di Greta, quello omonimo, che di solito conclude la serata, mi ha sempre affascinato per la sfrontatezza con la quale lo eseguono (unita alla delicatezza con cui si può imbastire un origami) servendosi esclusivamente di non-strumenti: chitarrine giocattolo, percussioni da cucina delle bambole, bicchieri semivuoti, perfino un cubo di Rubik. Un brano lieve e ispirato, che chiude lasciandoti il desiderio di incontrarli ancora.
La voce di Marlen Pizzo, attrice diplomatasi alla scuola dello Stabile, contrappunta le sonorità con la narrazione che fa di Greta una sorta di piccola Alice. I Gretaelanuvola, salpati dalle sponde del Po a San Mauro Torinese, proseguono il loro viaggio di ricerca in bilico tra note e poesia, e non sembrano avere l’intenzione di concedersi pause.
Per chi ancora non li conosce, il piccolo Alice nel Paese delle meraviglie che li ha tenuti a battesimo è un buon modo di cominciare a frequentarli. Con il rischio che nasca un’amicizia destinata a durare nel tempo.
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Come augurare buon Natale senza farsene accorgere

Maigret&Magritte - Scuola di Teatro & Altro
Serata di improvvisazione teatrale

(sabato 18 dicembre 2010)

E' stata una serata, questa alla Casa del Quartiere di San Salvario, che mi ha reso felice.
Da un po’ di tempo vado in giro a fare diverse cose che non avevo mai fatto prima: vado in giro a parlare di questa malattia che mi ha colpito, la Sla, perché ancora se ne sa troppo poco, e poi a parlare di come se la passano male i miei nuovi compagni di viaggio.
E, poi, mi càpitano cose strane, che non facevo più da quand’ero giovane, come ad esempio trovarmi ad organizzare dei sit in davanti ai palazzi del potere, alternandoli con incontri dentro quegli stessi palazzi, per ottenere, ad esempio, che il diritto alla salute si traduca in servizi domiciliari che permettano a tutti noi di scegliere liberamente che questa sorta di second life, con la malattia, valga la pena di essere vissuta.
E poi ancora, con l’associazione, mi ritrovo a promuovere progetti, che vorrei sempre più ricchi di idee e passione, sia culturali sia di assistenza, di cui l’iniziativa di stasera è stata un bellissimo, inaspettato esempio.
Ma non era di tutto questo che volevo parlare, bensì di questa serata e del piccolo, ma importante progetto correlato.
Sono felice e commosso di aver ritrovato Stella, Emilio e quelli della Maigret&Magrìtte con cui ho condiviso alcune bellissime esperienze del mio recente, eppure, per altri versi, così lontano passato. Il lavoro di un paio d’anni alla asl di Settimo, le contaminazioni con il loro gruppo, qualche seminario fatto insieme, restano, per me, esperienze preziose e indimenticabili. La proposta di questa serata e il loro darsi disponibili per un’occasione di arte, divertimento e impegno insieme, è stato un vero regalo, di cui li ringrazio personalmente, prima che a nome dell’associazione.
Questa è diventata così la prima di alcune iniziative che serviranno ad allestire un piccolo laboratorio di ausili, da mettere a disposizione di Valentina Pasian, logopedista, e di conseguenza degli ammalati di sla. Valentina svolge un eccezionale lavoro, in collaborazione con gli ingegneri del Politecnico, testando e adattando, e personalizzando, gli ausili più diversi, dai più elementari ai più tecnologicamente avanzati.
Da qui il nome del progetto “Te lo dico con gli occhi”, che richiama il comunicatore a scansione oculare, l’unico ponte con il mondo quando la sla, all’ultimo stadio, abbia risparmiato, tra i movimenti volontari, solo più il movimento degli occhi. Per poter svolgere al meglio questo lavoro, Valentina ha la necessità di ampliare il ventaglio di strumenti a disposizione, per cui servirebbe un budget tutto sommato contenuto, di circa 5000 €, che lo stato attuale dell’Università, francamente pietoso, non consente.
Intendiamoci, io credo che la beneficenza da sola non basti, che sia benemerita solo se è integrativa, e non sostitutiva degli interventi istituzionali. Ma questo è precisamente uno dei casi in cui un intervento integrativo, di dettaglio, può fare la differenza.
Ecco dunque spiegato perché sono stato doppiamente felice e perché avrei voluto, se avessi potuto, abbracciarli uno ad uno, registi ed attori della serata. E, anche, augurare buon natale ad ognuno dei presenti.
Naturalmente, anch’io, senza farmene accorgere.

Il ricavato della serata, particolarmente generoso, è stato interamente devoluto all’ APASLA per il Progetto “Te lo dico con gli occhi”, allestimento di un Laboratorio di adattamento ausili per la quotidianità e la comunicazione aumentativa alternativa.

Per una solidarietà consapevole


Mi è stata chiesta una testimonianza, e io ho accettato volentieri, anche se per la verità non amo troppo la parola testimonianza. Il fatto è che raccontare cos’è una malattia poco conosciuta, oppure raccontare cosa succede quando ci si passa attraverso, è importante, ma ancor più importante è aiutare a comprendere cosa noi tutti come comunità possiamo fare, per permettere agli ammalati e alle famiglie di vivere in modo dignitoso, convivendo con la malattia e nonostante la malattia . La Sclerosi Laterale Amiotròfica è una malattia che arriva a toglierti quasi tutto: ti paralizza completamente, non puoi più muovere né gambe né braccia, né parlare, né mangiare, e alla fine neanche più respirare. Assisti impotente, giorno dopo giorno e più o meno rapidamente, al tuo corpo che ti abbandona, che non ti risponde più. Le uniche cose che di solito lascia intatti sono i movimenti degli occhi e la mente, che resta completamente lucida.
Quando si riceve una diagnosi come questa ci si trova di fronte, prima o poi, ad un bivio e si deve scegliere: decidere che quella non è più vita, rifiutare l’intervento per passare alla respirazione artificiale e lasciarsi morire, oppure decidere di continuare a vivere. Non c’è alternativa e la differenza, a quel punto, la fanno alcuni aspetti molto intimi, come il proprio attaccamento alla vita, l’amore dei propri cari, l’affetto degli amici, ma anche le condizioni materiali che possono rendere sopportabile l’idea di affrontare un’esperienza come questa: mi riferisco alla possibilità di avere tutti i supporti sociali e sanitari che sono indispensabili e che invece mancano. Infatti oggi, nella quasi totale assenza di servizi domiciliari, tutto il peso dell’assistenza, giorno e notte, grava interamente sulla famiglia. Mogli, mariti, figli, sono costretti a lasciare il lavoro, a non uscire più di casa, a non sapere come affrontare le spese, a doversi accollare anche la responsabilità di manovre infermieristiche che salvano la vita nei momenti di crisi.

Quello che pochi sanno è che oggi, nel nostro paese, 8 malati di Sla su 10 decidono di lasciarsi morire. Proprio così: delle 1500 persone che ogni anno si ammalano, ben 1000-1200 si lasceranno morire senza passare alla ventilazione artificiale. E proprio l’abbandono da parte delle istituzioni è la prima causa di questa eutanasia silenziosa: accanto alla prospettiva di una malattia catastrofica, vedere i propri cari consumarsi accanto a sé, schiacciati da un carico assistenziale 24 ore su 24, spinge molti, già travolti dalla diagnosi, alla rinuncia.
E poi altri ancora, una minoranza, ma non per questo meno degna di attenzione, rinunciano sapendo che, una volta fatta, la scelta non ò più revocabile. Perché infatti prima si ha il diritto di rifiutare il passaggio alla respirazione artificiale, ma poi, una volta avviata, questa, così come l’alimentazione e l’idratazione forzate, non potrà mai più essere sospesa. L’assenza di una legge sul fine vita, che rispetti l’autodeterminazione della persona è l’altro problema terribile che si presenta a chi si ammala di Sla.

Conoscere e comprendere questi aspetti è importante, perché l’indifferenza che la società riserva, attraverso le sue istituzioni, alle difficoltà dei soggetti più deboli, è causa di sofferenze che vanno ben oltre quelle già terribili della malattia. E quindi è importante che la solidarietà dei cittadini si possa esprimere con forme diverse e più consapevoli che vadano oltre la pura beneficenza, che è benemerita se è integrativa, e non sostitutiva. La beneficenza da sola non basta. E alla lunga è anche poco rispettosa della dignità delle persone, perché la pari dignità richiede che venga rispettato un diritto, quello alla salute, e non che si venga trattati come dei bisognosi a cui rivolgere aiuti caritatevoli. Lo stesso va detto, purtroppo, anche per quanto riguarda la ricerca, che va troppo a rilento: quest’anno sono già almeno quattro le sperimentazioni “al letto del malato” che avrebbero dovuto partire, e che sono invece ferme, e ciò non solo per la cronica insufficienza di fondi, ma anche a causa della scarsa trasparenza dei criteri di finanziamento, che non sempre sembrano premiare l’effettiva qualità dei progetti.
Ecco, è per tutti questi motivi che, malati e familiari, siamo scesi a Roma, esattamente un mese fa, per avviare un presidio permanente che mettesse all’ordine del giorno l’approvazione di misure di sostegno concrete, a cominciare dalla possibilità di poter contare sull’apporto di assistenti familiari esperti, addestrati e qualificati con appositi corsi di formazione. E da questa mattina, a Cagliari, i malati sardi, anche con lettighe e respiratori, sono costretti a fare lo stesso, per ottenere quello che la commissione regionale ha discusso e approvato già un anno fa e da un anno è chiuso in un cassetto.
Sappiamo bene che i 5000 malati di Sla sono solo una parte delle persone non-autosufficienti in Italia, l’Associazione Greta e la nuvola si occupa di traumi cranici e sappiamo che ogni anno sono circa 9mila gli italiani colpiti da lesioni cerebrali provocate da trauma cranico. Di queste, più di mille portano allo stato vegetativo. Ed è importante capire che gli esiti finali di condizioni o malattie molto diverse fra loro, presentano poi problemi e bisogni molto simili, a cominciare dalla necessità di essere, il più possibile, seguiti a casa, limitando al minimo indispensabile i ricoveri in ospedale o in istituto. Far crescere la cultura, e di conseguenza anche la realizzazione concreta, di servizi domiciliari adeguati è, ne sono convinto, la più urgente battaglia per la vita per cui oggi valga la pena di impegnarsi. Di questo dovremmo essere, tutti, un po’ più consapevoli.

(16.12.2010 - intervento alla serata sui traumatiismi cranio-encefalici promossa dall'Associazione Greta e la nuvola)


Due o tre cose che so di lei


Venti mesi sono trascorsi da quando mi sono ammalato. Un lasso di tempo breve, eppure è il tempo di un’altra vita.
E ora so.

So cos’è questa malattia e so che, nei casi come il mio, uccide in fretta.
So che, dopo aver perso l’uso di gambe e braccia e mani, sto perdendo la voce, per sempre.
Ora so che tra un po’, non molto, dovrò farmi fare un buco in pancia per mangiare e uno in gola per respirare e per non morire.

So che Enzo se n’è andato dopo 12 giorni di agonia, durante i quali ha inutilmente implorato gli venisse risparmiata quella tortura. Anni prima aveva liberamente accettato la ventilazione artificiale; ora che avrebbe voluto rimuoverla, la legge gliel’ha impedito.
So che il consenso informato è un vicolo cieco. La libertà di scelta, in questo paese, è sempre libertà provvisoria.
Ora so che, quando sarà il mio turno, dovrò arrangiarmi oppure farne anch’io un caso nazionale. Per vedere rispettata la propria volontà senza combattere, si è costretti a emigrare.

So che se ti ammali e conservi, o ti scopri, uno spirito imprenditoriale, di regola fai una Fondazione e subito dopo sfrutti anche tu la magica parola: ricerca. Che, magicamente, ti apre tutti i portafogli.
Ora so che I fondi per la ricerca fanno bene a tutti, fan bene a chi li dona, fan bene a chi li raccoglie, ma, soprattutto, fan bene a chi li gestisce.

So che la malattia ti spinge a farti uguale a lei, a diventare, nel migliore dei casi, un caso umano, da ammirare o compatire.
So che vorrebbero che tu combattessi il male, così da esorcizzarlo per procura.
So che se invece vuoi combattere ipocrisia ed ignoranza, te la faranno pagare.

Ora so che c’è chi celebra la mistica della sofferenza e dice che la malattia è un valore aggiunto.

Io, più laicamente, mi accontento di vivere questa mia nuova esperienza con dignità.

(11.12.2010)